Der Erzbischof von Zara, Giuseppe Godeassi, sendet dem Wiener Nuntius und
nunmehrigen Erzbischof von Bologna, Michele Viale-Prelà, eine Akte mit
insgesamt drei Berichten und Stellungnahmen zur Festnahme des Priesters
Antonio Borovich. Godeassi hofft, dass die Angelegenheit damit
abgeschlossen werden könne.
Als Beilagen finden sich die besagten
Berichte sowie ein Schreiben eines nicht identifizierbaren Schreibers an
den Erzbischof von Zara, in dem die Berichte über die Festnahme von
Borovich mitgesendet werden. Der Schreiber betont, dass die Festnahme
seiner Auffassung rechtens gewesen war, auch wenn der Beamte Paolo
Tripalo, der die Festnahme geleitet und angeordnet hatte, wenig
Fingerspitzengefühl gezeigt und die Festnahme damit nicht vollkommen den
Vorgaben des Konkordats entsprochen habe.
Im ersten Bericht
schildert der Leiter der Gendarmerie in Novaglia, Paolo Tripalo, den
Grund für und das Vorgehen bei der Verhaftung von Antonio Borovich. Als
Grund gibt er an, dass der Kooperator Zubranovich diesen angezeigt habe,
weil jener ihn mehrfach und vor Zeugen bedroht habe. Der Gendarm selbst
hatte daraufhin Borovich überwacht und festgestellt, dass dieser sich
bewaffnet hatte und sich, begleitet von zwei bewaffneten Verwandten,
nächtens durch das Dorf bewegte. Bei einer Hausdurchsuchung hatte er
schließlich Pistolen und Kugeln sichergestellt. Bei einem nachfolgenden
Verhör hatte sich der Pfarrer schlecht benommen und wilde
Anschuldigungen und Beleidigungen ausgesprochen. Die Überführung in die
Nachbargemeinde fand deshalb statt, weil Borovich in seiner Pfarre zu
viele Verwandte besaß, was die Situation verschlimmert hätte. Er betont
außerdem, dass die Verhaftung mit möglichster Diskretion erfolgte, und
nicht wie von Borovich behauptet in aller Öffentlichkeit. Außerdem tritt
er der Anschuldigung entgegen, er habe Borovich dem Spott der
Bevölkerung ausgesetzt.
Im zweiten Bericht schildert Giuseppe
Descovic den Lebenswandel von Antonio Borovich und die Vorgänge bei
dessen Verhaftung. Zunächst betont er, dass Borovich für seine
Trunkenheit und Gewaltbereitschaft bekannt gewesen sei. Er selbst habe
ihn mehrfach ermahnt. In der Folge geht er auf das Verhältnis Borovichs
zu seinen Kollegen ein und schildert einige Vergehen des Priesters. Die
Verhaftung schildert er als rechtmäßig und notwendig, um eine drohende
Gefahr abzuwenden. Ebenso schildert er die Behandlung des Borovich als
vollkommen rechtskonform.
In der dritten Schilderung beschreibt der
Erzpriester Simeone Mestrovich die Vorgänge rund um die Verhaftung von
Antonio Borovich: Borovich sei in das Haus des Ortsvorstehers gekommen,
als der Aktuar Tripalo und seine Gehilfen dort anwesend waren. Dort habe
er sogleich begonnen um sich zu schreien und alle Anwesenden heftigst zu
beleidigen. Begleitet wurde er von zwei Verwandten, die bewaffnet waren.
Die Verhaftung erfolgte in seinem eigenen Haus. Anschließend geht
Mestrovich auf die Behandlung des Priesters in der Nacht seiner
Gefangennahme, sowie bei dessen Überführung nach Pag ein. Dabei betont
er, dass Borovich zwar grundsätzlich gut behandelt worden sei,
allerdings bedauert er, dass der Aktuar Tripalo wenig Geschick bewiesen
habe, um öffentliches Aufsehen zu verhindern und die Angelegenheit damit
zu einem öffentlichen Spektakel geworden sei.
Italienisch.
Insgesamt fünf Stücke:
Giuseppe Godeassi an
Michele Viale-Prelà. Zara, 22. Februar 1856.
Unbekannt an Giuseppe Godeassi. Zara, 11. Februar
1856.
Stellungnahme zur Verhaftung
von Antonio Borovich von Paolo Tripalo. Pag, 25. Januar 1855.
Stellungnahme zur Verhaftung von Antonio Borovich
von Giuseppe Descovic. Pag, 27. Januar 1856.
Stellungnahme von Simeone Mestrovich zur Verhaftung
von Antonio Borovich. Pag, 15. Februar 1856.
Vgl. dazu auch den Brief: Antonio Borovich an Michele Viale-Prelà. Pag, 3. Januar 1856.
Eminenza Reverendissima!
Avendo finalmente ottenuto le informazioni che si richiedevano in merito del
ricorso insinuato dal Sacerdote Don Antonio
Borovich di Novaglia, mi affretto di
rassegnarle al giudizio di Vostra Eminenza Reverendissima, in obbedienza
dell’ossequiato di Lei foglio 15. gennaio p.p.
Al rapporto sul fatto di
cui si tratta esposto dall’Arciprete Paroco di
Pago, unisco una uffiziosa communicazione
che mi venne offerta dall’Imperial Regio Presidente di
Appello.
Ho cercato così di corrispondere il meglio che si poteva
ai cenni di Vostra Eminenza, col ritrarre cioè le più sicure relazioni dalle
suddette due fonti, da cui ne risultasse il genuino stato della questione,
ed in particolare il giudizio di quest’Imperial Regio Appello.
Io pel
resto non posso che riferirmi al mio foglio 7. febbraio corrente N. 3/p., e
con ciò mi reco a dovere di riprodurre il ricorso suaccennato per le
deliberazioni che Vostra Eminenza troverà nell’alta sua sapienza di
pronunziare.
Approfitto poi di questa occasione per rendere grazie a
Vostra Eminenza della benigna dispensa che non è guari si è compiaciuta di
concedere a favore delli Joso Tusul e Simizza Secula da
Bibigne.
Rinnovando le proteste della più alta mia stima e profonda
venerazione, ho l’onore di raffermarmi
Di Vostra Eminenza
Devotissimo Ossequiosissimo Servitore
Giuseppe
Godeassi Arcivescovo
Zara li 22. febbraio 1856.
al N.214/p.
Eccellenza!
Porgendo definitivo riscontro alla riverita Nota di Vostra Eccellenza di data 21. Gennaio
p.p. N. 2/p già preliminarmente corrisposta colla mia 24 detto, sotto pari
numero, non saprei come meglio incontrare i desideri dell’Eccellenza Vostra,
che comunicando, siccome rispettosamente mi onoro di comunicarLe le qui
acchiuse copie del Rapporto 27 Gennaio p.p. N. 112
dell’Imperial Regia Pretura di Pago, e della Relazione 25 mese
stesso di quell’Attuario
Paolo Tripalo, riflettenti entrambi
il ricorso del Reverendo Sacerdote Don Antonio Borovich di Novaglia sul suo
arresto personale.
Nel tempo stesso mi pregio di far presente, che non
potendo l’Appello non riconoscere una qualche irregolarità incorsa per parte
del prefato Attuario Tripalo nella
decretazione dell’arresto medesimo, e vieppiù ancora nel modo della sua
effettuazione, certamente non del tutto conforme alle massime stabilite dal
Concordato fra Sua Santità Pio Nono, e l’Augustissimo Imperatore d’Austria
19 Agosto 1855 Art. 14, l’Appello stesso con suo deliberato 7. corrente N.
386 ha trovato di suo dovere il rinunziare gli atti concernenti alla locale
Imperial Regia Commissione provinciale mista per l’analogo procedimento
disciplinare di sua competenza a termini del §14. della Sovrana Risoluzione
14 Settembre 1852 Puntata IV. N. 10 Bollettino Imperiale delle leggi
dell’anno 1853.1
Soffra
l’Eccellenza Vostra che io approfitti anche di questa opportunità per
ersternarLe i leali sentimenti di profondo rispetto, coi quali ho l’onore di
riprotestarmi
Di Vostra Eccellenza
Obbedientissimo e Devotissimo
Servitore
[unleserlich]
Zara 11. Febbraio 1856.
Signor Pretore!
In seguito al riverito di Lei decreto di data odierna, mi onoro di
rassegnarLe le seguenti deduzioni sul ricorso del Sacerdote Don Antonio Borovich relativo al suo
arresto, dietro mio ordine effettuato dalla cesarea regia Gendarmeria in
Novaglia il dì 10 p.p. Dicembre 1855.
Dietro
Pretorile Decreto attrovandomi nel dì 8. p.p. Dicembre in Novaglia per la
constatazione d’un danno malizioso, quel Reverendo pro Parroco Don Giorgio Zubranich mi portò vocale
denunzia che il Sacerdote Don Antonio Borovich
, alla presenza di due testimoni,
lo aveva pericolosamente minacciato, e minacciato di vita esprimendosi con
le seguenti precise parole: che il pro Parroco Zubranich non sarebbe arrivato a
celebrare la Santa Messa nel p.p. Santo Natale!
Valutate da me tali
espressioni, più sentita per bocca del predetto Signor proparroco la
circostanza, convalidata dall’asserzione d’un testimonio occulare, cioè che
poche sere avanti, mentre egli recavasi in una casa del villaggio per
parrocchiali mansioni, nell’attraversare un viottolo, vidde incantonato con
suo nipote il Sacerdote Don Antonio Borovich
, il quale, quand’ebbe a passargli
d’inanzi e guardatolo con torvo cipiglio gli disse: puoi
pregar Dio che sei questa sera accompagnato, dico valutate tutte le
or espresse circostanze mi ritenni in conscienzioso dovere di procedere
all’esame delle due testimoni Lucia
Gemeglich, e Mattea
Suglich, le quali, tutte tremanti perché Don Antonio Borovich non venisse a
trappellare il loro deposto, gravatamente deposero che il predetto Don
Antonio Borovich, in casa
Cercovich, poche sere innanzi, aveva pronunciate le sopradette espressioni
minacciose contro il proparroco Zubranich.
Per tal modo avutane la prova legale d’un
crimine, e riflettuto, dietro il tenore stesso delle suddette minaccie, che
il giorno in cui doveva, od almeno poteva esso venire effettuato, era
prossimo, cioè mancavano pochi giorni al Santo Natale, credetti bene di
dover assolutamente procedere ad un’energica misura
precauzionale, arrestando cioè il minacciante.
Però prima di devenire a
tal passo, stimai prudenza di verificare e convincermi personalmente di
un'altra circostanza che sta in piena armonia col suesposto, cioè volevo
vedere s’era vero, che il Sacerdote Don Antonio Borovich
ogni sera
nel ridursi dalla casa paterna alla propria abitazione era armato di
pistole, ed accompagnato da due sattelliti, essi pure armati. Adunque
messomi in aguato, con dispiacere venni avvertito, che un momento inanzi,
essi erano passati, che il Sacerdote s’era chiuso in casa, e che i due
sattelliti, suo fratello e nipote Borovich, erano ritornati alla lor casa.
Non indugiai d’andare, accompagnato semplicemente da due rondari alla casa
del fratello e nipote del prete per vedere se ancora avessero le armi
indosso. Giunti sopraluogo, alla cinta del nipote trovai un coltello della
lunghezza di circa mezzo braccio, affilato, ed appuntito a perfezione.
Presogli il coltello gli dissi di seguirmi, e mi seguì all’abitazione del
Capovilla, ove gli ordinai di attendermi, tanto ch'io ritornato fossi
chiamato meco il Cancellista Treu, andai direttamente all’abitazione del
Sacerdote Don Antonio Borovich,
onde procedere ad una formale perquisizione domiciliare per rinvenirvi le
preaccennate due pistole, le quali non si rinvennero, perché mentre io
conduceva a casa del capovilla il suaccennato suo nipote un suo famigliare
lo prevene di questo fatto, e per tal guisa egli è probabile che abbia
nascoste le due pistole, e l'esito della perquisizione fu soltanto il
rinvenimento nello scaffale del tavolino del Sacerdote di due pallotte di
piombo, appunto ad uso di pistola.
Ritornato che fui dal Capovilla tosto
interrogai il nipote del Sacerdote sul possesso di quel coltello, ed egli mi
rispose da prima che lo portava per semplice ornamento (invece rilevossi che
di giorno mai lo portava alla cinta) e poscia per uso di campagna (falso
anche questo perché la sua conformazione, e la lucidezza ne dimostravano il
contrario).
Mentre in ciò ero occupato, ed erano le ore 8 di sera, udì
un forte schiamazzo e delle grida nell’atrio della casa del Capovilla.
Uscito a vedere che fosse, vidi che il Sacerdote Don Antonio Borovich accompagnato da
due armati di coltello e pistole, ed erano un’altro suo nipote e fratello
attraversavano il cortile ed ascendevano i gradini che mettono al primo
piano della casa, scagliando mille offese ed improperi contro il Capovilla e
sua moglie e predetti padre e figlio si fermarono all’ingresso del primo
piano col pretesto di attendere e guarentire contro ogni attacco il loro
attinente Don Antonio, e non volevano di partirsene od onta che io li
esortassi ad allontanarsene, avvertendoli che non era bisogno di loro, e che
Don Antonio era bastantemente guarentito colla mia presenza. Il sacerdote
invece di fare plauso a tal mio procedere, loro imperiosamente gridò di ivi attenderlo, e poscia rivoltosi verso
di me, con aria di dispotismo mi chiese udienza.
Il rintuzzare al
momento questo loro orgoglioso ed increante procedere non era prudenza,
prima perché certo sarebbe nata un'opposizione, e forse pericolosa, e poi
per non mettere in timore ed in iscompiglio il vicinato che a quell’ora era
al riposo. Perciò con belle forme pregai il Sacerdote Borovich di calmarsi e
di seguirmi nella stanza ove teneva l’esame di suo nipote. Nell’anticamera
ora seduti a tavolino se ne stavano il capovilla, il proparroco Zubranich, l’attuale suo cooperatore
Milovich [?], ed il fante pretorile Pietro Nicolaoski [?], tutti
pacificamente intenti a conversare. Il Prete Borovich nell’attraversare
l’anticamera fermossi, e gettando dalle spalle il mantello, cominciò ad
insultare villanamente tutti i preaccennati, in ispecialità poi il Capovilla
ed il Zubranich, trattandolo da
infame, ubbriacone impudico ed assassino, e lo
sfidava ad alzarsi ed uscire, dicendogli che gliel’avrebbe fatta vedere. A
tali ingiuriose espressioni, il parroco, anziché montar sulle furie, non
proferì sillaba, perché da me pregato di non rispondere, e ripetutamente
eccitando il prete Borovich di
desistere da simili atti indecorosi, vi riuscì di condurlo in camera, giunto
nella quale ebbe a rivogliersi prepotentemente contro di me, sostenendo che
io non poteva, né aveva diritto di privare suo nipote di quel coltello, ché
egli lo portava a mera guarentiggia della sua persona; ripeteva di bel nuovo
le suespresse offese contro il parroco, non risparmiando colle sue infami e
maldicenti espressioni nessun impiegato di questa cesarea regia
Pretura.
Dopo mille, e mille blande esortazioni, e perfino preghiere a
mal pena riuscì a talqualmente tranquilizzarlo, promettendogli che nulla
sarebbe sfuggito alla vigilanza della giustizia, e così presolo sotto il
braccio da per me stesso lo accompagnai fuori dall'atrio dalla casa del
Capovilla.
Prescindendo dalla già ben nota sua condotta anteriore
pessima sotto ogni rapporto, ciò non ostante stimai opportuno di chiamare
alcuni più venerandi e da bene vecchiardi del villaggio, per ritrarre da
loro le opportune informazioni sul suo contengo d’allora, ed unanimi mi
confermarono, che egli non era assolutamente più tollerabile per l’infami
sue azioni d’ogni cattegoria, ch’egli trattava di ladri ed assassini tutti
coloro che non erano della sua sequella, che non dava pace e quiete alle
famiglie colle sue dettrazioni e mormorazioni, che gettava, come infatti tra
parecchie gettò il germe del dissapore e della discordia, non risparmiando
perfino la santità del talamo nuziale. Aggiunsero di più i predetti
vecchiardi, che se l’Autorità non prendeva a tempo dell’energiche misure, la
pacienza d’alcuni mariti, e capi di famiglia avrebbe trascorso il colmo, e
sarebbe per certo scoppiato un qualche grave disordine al qualche
difficilmente più ci sarebbe stato a tempo di porre riparo.
Prescindendo
anche dal suespresso crimine, che mi dava motivo legale di procedere
all’arresto del prete Borovich,
prescindendo pure dall’anteriore sua pessima condotta, processato più volte
in via si criminale, che politica, essendo le cose ormai giunte a tal segno
che ne era sicuro lo scoppio, come ho detto d’un grave inconveniente, io
conscio di tutto ciò, doveva per coscienza, e per il giuramento da me
prestato, quale rappresentante in Novaglia tanto il
potere politico che esecutivo per argine a fatti traggici che potevano anche
succedere il che se fatto non avessi, e succeduto alcun di loro, l’autorità
superiore sapendo ch'io era a giorno di tutto, avrebbe avuto tutta la
ragione d’incolpare me qual negligente e trascurato, oltreché sarei stato
incolpato d’inanzi al Tribunale di mia coscienza.
Dovetti quindi
assolutamente procedere all’arresto del sacerdote Don Antonio Borovich. Effettuarlo a
mezzo la ronda villica, non era né politica, né prudenza, essendoché il capo
della medesima è stretto suo parente, e quindi probabile ne sarebbe insorta
un opposizione, a guarentigia e salvo di qualsiasi inconveniente spiccai un
invito alla gendarmeria di Pago [Pag], seguito a
mezzo del fante di questa Pretura. Giunta questa a
Novaglia nel dì 10 alle ore 5 1/2, e verificato
avendo essa stessa il sopraesposto convenne meco che si doveva assolutamente
procedere all’arresto del Sacerdote Borovich, e che questo fatto non
chiedeva mora. Per il che io le diedi pieno potere di ciò fare, però con
tutti i riguardi possibili, ed anzi per ogni migliore procedere stimai
opportuno di esservi presente all’atto dell’arresto, che infatti venne
effettuato da un solo gendarme, e da me silenziosamente alle
ore 6 postmeridiane in casa del prete medesimo, attigua del tutto a quello del capovilla non distando porta da porta
che di soli 4 passi. Dal Capovilla egli venne condotto dal cesareo
regio Gendarme, ove su d’un letto decentissimo ebbe a passare la notte,
avvinto semplicemente da una catenella d’acciaio usitata dalla cesarea regia
Gendarmeria, appunto messagli addosso più per forma che per altro a motivo
del suo carattere. Io aveva esternato al Cesareo Regio
Gendarme tanto che di questa non fosse avvinto, come pure che di notte
tempo fosse tradotto a Pago [Pag], e ne ebbi
in risposta, che si l’una cosa quanto l’altra erano
vietate dal Regolamento dalla Gendarmeria.
La mattina
segretamente feci scegliere, e radunare 4 rondari che fossero d’aiuto nella
scorta al solo gendarme che accompagnava il Borovich, e ciò perché s’era sparsa una voce d’una possibile
aggressione alla strada per parte degli attinenti del Borovich.
Alle ore 8 1/2 di
mattina disposto il tutto per la partenza, che prima di quell’ora non era
possibile la si potesse effettuare stante l’imperversare del mal tempo e la
pioggia che cadeva, fatto uscire di casa il Prete Borovich che aveva alle mani la
sudetta catenella d’acciaio, levatagli anche questa al momento che montò a
Cavallo, e della quale fu pure libero per tutto il viaggio. Ad una ventina
di passi innanzi, ed altrettanti indietro feci precedere a retrocedere la
scorta ed io col Cancellista Treu eravamo d’accanto al
Prete. Camin facendo ogni cosa procedette in pieno ordine, ed a due miglia
distante da Pago io affrettai il passo al
mio cavallo per prevenire di tutto il Signor Pretore, lasciando ordine alla
scorta di rimanere adietro, e di lasciare che il prete solo da sé si
presentasse alla Pretura, come ciò fu fatto.
Dal fin qui esposto, la
Superiore Autorità potrà rilevare la regolarità e giustizia del mio operato,
come pure quanto esagerate, e del tutto immaginate sono le circostanze
esposte nel ricorso del sacerdote Borovich, falso quindi che egli si faceva ogni sera
accompagnare dalla casa di suo padre alla propria abitazione armato, e con
gente pure armata per il motivo di una pretesa aggressione da esso lui
sofferta due anni fa, mentre che consta che egli più volte viaggiava solo di notte tempo tra Novaglia e
Pago, come lo fece pochi giorni avanti
il suo arresto, egli che non aveva tema di andar solo per i viottoli delle
campagne a tendere lacci alla pastorile innocenza.
Falso, che il suo arresto venisse effettuato con pompa e
pubblicità alle ore 3 postmeridiane, mentre invece venne effettuato con
tutte le possibili precauzioni alle ore 6 di sera,
falso, che egli venne imanetato, mentre ché al momento
dell’arresto e durante la notte aveva la sola suddetta sottilissima
catenella,
falso, che prima della partenza da
Novaglia avanti la casa del capovilla vi fosse
accorsa una moltitudine di popolo, mentre non vi erano che 5–6 donne
precisamente sedute innanzi le porte delle loro case;
falso, che lo scrivente, prima dell’entrare in Pago alla testa del prete si fermasse
schiamazzando coll’idea di allontanare la moltitudine che il sacerdote
Borovich dice si fosse
accollata, lo scrivente null’altro fece che attendere alla testa del ponte
il padrone del cavallo che aveva fatto chiamare allontanando alcuni ragazzi
che trastullando si stavano ad ingombrare il passaggio del ponte.
Ecco
quanto ho creduto di rapportarne conscienziosamente in seguito al sullodato
di Lei Decreto.
Il cesareo regio Attuario
firmato Tripalo
Pago li 25. Gennaio 1855
N. 12/p
Ad 386/app.
Eccelsa Presidenza
Sin da quando Novaglia fu aggregata col nuovo
organismo a questo Distretto, io venni a rilevare che il prete secolare Don
Antonio Borovich, uomo a 48
anni, condannato a Trieste per crimine
di truffa e avvolto e dimesso a Rovigno [Rovinj] per
difetto di prove in un processo d’infanticidio, anziché rinsavire,
continuasse a essere molesto e pericoloso, facile a concitarsi dedito
all’ozio e al bere, seminatore di discordie, accusatore e istigatore, nemico
del fu parroco Dragovich e del Capellano Volarich e massime della famiglia Scunza.
Visitata
Novaglia la prima volta in Settembre 1854 io mi
proposi ogni via per ricondurre codesto sciagurato ad un retto sentiero.
Consigli e ammonizioni le più opportune così a lui, come alla maggior parte
dei capi famiglia, presso di me radunati. Il più perfetto ravvicinamento,
proteste d’oblivione del passato e d'una frattevole armonia, fu il risultato
delle mie prestazioni. Sebbene io sapessi che odii inveterati non si
assopiscono così di leggieri, né un cor depravato di leggieri si guarisce,
sperava, chi per compiacermi, chi per timore, si sarebbero almeno astenuti
di trascorrere fatti. Né mi ingannai. La condotta del Borovich massime partito il Dragovich
e sostituito da Don Giorgio
Zubranich pio e capace pastore, stimato dal Borovich stesso, nulla per qualche
tempo lasciava a desiderare. Però la fermezza dello Zubranich, prima esaltata dal
Borovich, finì
coll’indispettirlo. Fallite le vagheggianti di lui speranze di adoperare il
parroco come mezzo a suoi fini raffreddò quella buona relazione e prese a
formargli un partito oppositore. Un certificato che il parroco, richiesto
estese a favore dell’imperial regio soldato Antonio
Scunza di Giovanni, giovane dabbene, fidanzato a Catterina
Corian, che il Borovich indarno cercò sposare al proprio nipote, bastò
perché costui desse sfogo alla propria perversa indole. Bestemmie, offese
all’onore, insulti d’ogni fatta verso il Parroco e le famiglie Corian e
Scunza, furono i mezzi posti all’opra, ricorsi e accuse di crimini, tutti
inventati, all’autorità militare contro il detto soldato. Brigò e riuscì,
rappatumatosi col troppo inesperto Volarich suscitare fra lui e il Parroco
forti discordie.
Informatone, mi adoperai per togliere tanto male, con
intimazioni energiche e minaccevoli. Alle promesse nuovamente mancò. Mogli
oneste furono presentate al pubblico con disegni a penar nelle più oscene
posizioni a braccio del Parroco, corredate da iscrizioni ancor più laide, e
il parroco poi, i funzionarii villici e le persone dabbene maltrattate e
minacciate. Come ciò demoralizzasse la popolazione, e facesse prevedere
conseguenze tristissime è inutile dimostrare.
Traslocato il Volarich e
surrogato da Don Matteo Milovich, anche questo incontrò
la sorte del Parroco.
Molte denunzie io m’ebbi e in via penale si
agitano le inquisizioni, feci rilevazioni anco in via politica. Due aderenti
del Borovich, padre e figlio
Cerncovich [Cercovich?], dovetti arrestare in via di polizia, e redarguir il
Borovich, intimandogli di
desistere a scanso di misure di rigore. Tutto indarno. Ei si compromise nel
fatto di ferimento d’una armenta del Capovilla, e venne imputato di aver
trapassato con lo spiedo un maiale del Parroco al limitare della sua
abitazione. Ma ciò non è tutto – fu denunziato da ultimo di minaccie
pericolose verso il Parroco e di aver tramato alla di lui vita.
Questa
fedele dipintura ch’io faceva addì 12 p.p. Decembre N. 200 a codesto
Illustrissimo Signor Consigliere e Capitano Circolare, parvemi necessario
premettere onde l’Eccelsa Presidenza sapesse chi era Don Antonio Borovich e in quale condizione
si trovassero per lui le cose a Novaglia.
Ora circa i fatti addotti nel
ricorso trovo di aggiungere.
L’aggressione imputata allo Zubranich è calunniosa. A ritenerla
tale basterebbe l’esame del Capellano Volarich. Non si trattava che di un
semplice alterco fra i medesimi presente il Ricevitore Doganale
Vassiglievich. A compimento della procedura mancano solo alcuni rilievi
chiesti all’imperial regia Pretura di Arbe [Rab],
facile che emergano indizi di calunnia. Non dissimile è l’altro concernente
la Dumicich. Il Borovich è imputato di aver tentato d’indurre costei a
deporre il falso in giudizio. A refarsi pretenderebbe ora l’opposto. Da
rilievi praticati poi in seguito a requisitoria dell’Eccelso Imperial Regio
Governo Militare, risultò che le accuse date al soldato Scunza erano
infondate.
Perché e come seguisse l’arresto del Borovich, potrà
l’Eccelsa Presidenza rilevare dal rapporto che io ritirai dal cesareo regio
Attuaro Tripalo. In quel momento io
era indisposto e n’ebbi avviso a fatto compiuto colla rimessa degli atti
assunti. L’arresto parmi basato a legge, ed era assolutamente necessario
onde antivenire a fatti irreparabili. Questo Giudizio inquirente ebbe a
confermarlo in via di preventiva custodia e il Borovich intimato dopo il
costituto, rinunziò al ricorso. Al Reverendissimo Ordinariato di Veglia e
Provicariato di Arbe venne data immediata contezza, fu quindi il Borovich con tutti i riguardi dovuti
al carattere sacerdotale rinchiuso in una stanza dell’alloggio del
carceriere, proveduta di tutto l’occorrente. Otto dì dopo, raggiunta la
prova del crimine di pubblica violenza mediante pericolose minacce, né
potendo definirsi con sollecitudine l’inquisizione, perché stanti a carico
dell’incolpato parecchi altri fatti, con deliberato venne sciolto l’arresto,
con ciò ché, non avesse ad allontanarsi dal capoluogo, misura cui si
adattò.
Che il procedere dell’autorità inquirente fosse legale, basterà
ricordare che codesto Inclito Imperial Regio Tribunale ritirò e revertì gli
atti della procedura, senza osservazioni, eccitando di seguitare
ulteriormente. Dai rilievi da me praticati e dalle informazioni ritirate
dall'imperial regia Gendarmeria non esito a dichiarare che i fatti addotti
dall’imperial regio Attuaro sono generici, e che il ricorso in quanto
dissente è contrario al vero. Don Antonio
Borovich solo senza chichesia comparve all’Ufficio Pretorile.
Qualche ora prima, non vedendolo arrivare e temendo che l’inesperienza
dell'Attuaro potesse consigliarlo a misure inopportune, stimai prudente
inviargli il Servente Nicolanzi coll’espresso incarico
di non far accompagnare il Borovich. Sebbene costui fosse contabile di molti e gravi
fatti e l’esacerbazione degli animi in generale a Novaglia avesse raggiunto
il colmo, non posso dispensarmi dall’osservare rispettosamente che l’arresto
del Borovich poteva venir eseguito presso questo Ufficio dopo assunto a
costituto, e senza che fosse uopo di ricorrere all’ imperial regia
Gendarmeria. Ma il soverchio timore concepito dall'Attuaro di una sommossa e
di fatti irreparabili, originato non d’altro che da inesperienza, e la
fatale combinazione della mia indisposizione ebbero un effetto
contrario.
Tanto mi onoro rassegnare, revertito il comunicato in
obbedienza all’ossequiato Decreto 4 corrente N. 11 di codest’Eccelsa
Presidenza con la preghiera di condonare il ritardo in riflesso agli affari
molteplici che mi tengono occupato in questi momenti.
L’ imperial regio Pretore
Segnato Descovich
Pago 27 Gennaio 1856
N. 45.
Illustrissimo e Reverendissimo Ordinariato Metropolitano di Zara.
In obbedienza all’ossequiato Decreto 21. Gennaio anno corrente N. 2/p con cui
si ordinava al sottoscritto scrivente di dare una genuina e circostanziata
informazione sul modo con cui venne eseguito l’arresto e tradizione del
Sacerdote Don Antonio Borovich
da Novaglia a Pago; il devoto
rapportante, da indagini fatte, crede i poter riferire quanto segue.
E
primieramente domanda perdono pel ritardo osservato nel dare questo
rapporto; perdono che l’illuminata bontà Superiore non glielo potrà
denegare, se si attenderà alla difficoltà di poter avere relazioni esatte
da, e con mezzi privati, sull’affare inchiesto.
L’arresto venne eseguito
nella seguente maniera.
Trovavasi in commissione a
Novaglia l’Imperial Regio Attuario pretorile di
Pago
Tripalo ed il Cancellista Treu con Gendarmi in casa del
Capo-Villa, assumendo deposizioni uffiziose. Ad ora avvanzata della notte,
si presentò il Sacerdote Don Antonio
Borovich al Signor Attuario Tripalo occupato in affari officiosi; e con forme indebite
incominciò a sgridare il Parroco di Novaglia là presente, Reverendo
Signor Zubranich, e sebbene
gli venisse imposto il silenzio, pure continuò, offendendo con parole
l’astante Reverendo Parroco, ed anche la dignità dell’Imperial Regio Offizio
Pretorile di Pago.
Mentre con tanta irriverenza
parlava il sunominato Sacerdote Borovich; alle porte della Casa del Capo-Villa stavano due
suoi parenti armati; per cui, preso da paura il Signor Attuario Tripalo, ordinò che i Gendarmi dovessero
arrestare il Sacerdote Borovich;
e l’arresto venne eseguito in casa sua propria ed intimato dal Cancellista
Pretorile Bartolomeo Treu, il
quale s’ebbe a gloriare d’avergli egli stesso messo le manette. Dal proprio
domicilio così incatenato fu tradotto alla casa del Capovilla ove (si dice)
fosse stato schernito e beffeggiato dalla padrona di casa, in onta al suo
carattere sacerdotale.
Venuto il tempo di coricarsi a letto, i Gendarmi
gli tolsero le manette; e mossi dal timore che durante la notte non si dasse
alla fuga l’arrestato Sacerdote, data una buona tazza d’acquavite al più
robusto e coraggioso Rondaro, questi venne da essi persuaso di lasciarsi
incatenare il proprio piede destro col piede sinistro del Borovich, e di dormire in questa
maniera con lui nel medesimo letto.
Tanto geloso era questo
incatenamento dei due piedi, che alla mattina seguente, occorrendo al
Rondaro fare i proprii bisogni, anzi che scioglierlo dalle catene gli fecero
somministrare in letto da un altro Rondaro un vaso notturno. Levate le
catene dal piede al Sacerdote Borovich, e poste nuovamente le manette, gli fu intimato
verso le 10 antimeridiane di partire per Pago, ove immanettato si diresse sempre scortato
dall’Attuario dal Cancellista dal Fante Pretorile, da due Gendarmi e da 4
Rondari di Novaglia.
Uscito in questa maniera dal
proprio patrio villaggio, e pervenuto al luogo detto
Lattugna, fu invitato il Borovich ad ascendere sopra un
cavallo; e dichiaratosi incapace di ciò fare finché avesse le mani legate,
dietro sua inchiesta gli furono levate le manette e si pose a sedere sopra
il cavallo designatogli.
Fratanto i Gendarmi esaminavano se tutti i
Rondari avessero le armi cariche; ed avendo trovato che uno aveva il fucile
vuoto, gli fu ordinato di condurre colla corda il cavallo su cui stava
seduto l’arrestato Sacerdote. In questo modo si venne fino alla compagna
vicina di Pago chiamata
Vodizze. Quivi pervenuti, il Cesareo Regio
Attuario precedette col proprio cavallo il Sacerdote Borovich, stando alquanto distante da
lui, come anche rimasero in certa distanza i Rondari, sempre però in modo
che qualunque passava per istrada poteva facilmente accorgersi che il
Borovich veniva essere
scortato.
Arrivato a Pago fu messo
nelle Carceri, da dove l’Imperial Regio Giudice Inquirente Signor Giuseppe Descovich, dopo pochi
istanti, lo liberò; dandogli il permesso di abitare in casa amica, sempre
però con condizione di non poter uscire fuori della borgata di Pago fino a che durerà l’inquisizione aperta a
carico suo.
La venuta poi del Sacerdote Borovich a Pago in stato
d’arresto ebbe luogo poche ore dopo mezzo giorno, alla presenza di molti
curiosi, i quali, avendo saputo due giorni avanti l’infausto avvenimento si
portarono in folla alla marina per osservare un tale spettacolo.
Tutto
ciò è avvenuto per ordine e comando dell’Imperial Regio Attuario Tripalo che si attrovava in commissione a
Novaglia; ignorando affatto gli ordini dati
l’Imperial Regio Pretore Descovich fino a che il Tripalo non gli avesse significato l’operato suo con
apposita officiosa relazione; e tanto fu il dolore suo per l’imprudente ed
antipolitica maniera con cui si comportò il cesareo regio suo Attuario, che
trovandosi alquanto in quel giorno incomodato in cui arrivava a Pago
l’arrestato Sacerdote Borovich, passò il restante del detto dì tutto
conturbato e viemaggiormente turbato in salute.
Osserva poi il devoto
scrivente, che l’arresto venne praticato, previa una perquisizione
domiciliare del Sacerdote suddetto nel giorno 10 Decembre anno passato dalla
Commissione composta dall’Attuario Pretorile Tripalo, Scrittore Treu e Gendarmi, e che in casa si trovò una palla di
fucile.
Che il Sacerdote Borovich, come venne esposto nel racconto dettagliato, fu
all’istante incatenato e tradotto in un'altra casa dove senza potersi
muovere passò la notte custodito ed incatenato nel piede.
Dal suesposto
parimenti si rileva che è vero essere stato egli tradotto a Pago scortato,
ma però non incatenato, di bel giorno.
Dal racconto permesso si scorge
che a Pago si seppe previamente il di lui
arresto ed arrivo: e che un quarto d’ora prima che vi capitasse lo
precorresse l’Attuario Tripalo
parimenti è vero; ma è falso però che lo precorresse per chiamare il popolo
allo spettacolo; e prova ne sia che avendo il Cesareo Regio Attuario
incontrato vicino al ponte di Pago il
Signor Segretario Comunale Giuseppe de
Mircovich che col suo figlio si portava per quella via a
passeggiare, ignaro dell’arresto; questi si ritirò tosto indietro pregato
dall’Attuario stesso di non trovarsi presente al prossimo arrivo
dell’arrestato Sacerdote.
In quanto poi all'ingiurie di cui fu coperto
il Borovich tanto a
Novaglia quanto a Pago; il devoto rapportante nulla poteva rilevare fuori di
ciò che sopra ha esposto nel racconto.
Ecco quanto lo scrivente ha
cavato da private relazioni di persone che furono testimoni oculari al
dolente fatto.
Se tutte si esaminano le adotte circostanze non si potrà
se non biasimare il poco talento politico del Signor Attuario Tripalo, che gli suggerì una così
meschina maniera, ed insieme offensiva della dignità dello Stato
Sacerdotale, per assicurarsi della persona dell’accusato Sacerdote Borovich.
Non fa poi le
meraviglie, ma compiange invece lo scrittore Treu per la parte ch’Egli ebbe ad avere in questo triste
avvenimento.
Infine poi si unisce a questo rapporto l’involto di carte
spedite allo scrivente sotto li 10. corrente, N. 33.
Così crede di aver
fedelmente adempiuto il volere venerato dal Superiore, comunicatogli col
Decreto 21. Gennaio 1856 N. 2/p.
Don Simeone Mestrovich
Arciprete Parroco Vicario Arcivescovile
Pago li 15. Febbraio 1856.